top of page

Il suo lavoro

Riproponiamo attraverso questo sito i testi che Angela Pascucci scriveva per il manifesto, perché riteniamo che abbiano una diversa longevità rispetto ai classici articoli di giornale; tutti i pezzi che selezioneremo hanno un valore storico e documentaristico, e alcuni sono ad oggi perfettamente attuali, nonostante gli anni trascorsi dalla loro stesura.

Come una delle tante megalopoli cinesi, anche questo sito è un cantiere, un work in progress, sempre in fieri. Un piccolo cantiere di storia contemporanea. Vi pubblicheremo a cadenza quindicinale due o tre interventi di Angela, scelti in base al tema o al periodo in cui furono composti.

Chi è interessato a questo progetto, può iscriversi alla nostra newsletter e riceverà automaticamente gli aggiornamenti.

Inoltre, tradurremo in inglese i testi che ci paiono più interessanti dal punto di vista storico, giornalistico e sinologico, in modo da renderli accessibili anche ai lettori non italiani.

Negli ultimi anni della sua vita Angela si era attivata per realizzare un blog, o un sito, che archiviasse tutto il suo lavoro, passato e futuro. La malattia non le ha permesso di andare oltre le prime fasi preliminari; ci proviamo noi, ora, convinti dell’assoluto valore della sua visione.

Il team che lavorerà a questo blog è composto da: Gaia Perini (Coordinatore), Federico Picerni (Ricercatore), Vincenzo Naso (Consulente), Giulia Dakli (web manager).

Quel «fantasma» di Bo Xilai che si aggira tra i delegati

Aggiornamento: 11 gen 2019


[di Angela Pascucci, 2012] Bo, affrontando il divario sociale, aveva contraddetto il potere centrale e osato una forma di open policy vicina alla democrazia.


Nei giorni scorsi si è compiuto anche l'ultimo atto per espellere formalmente Bo Xilai dal Pcc e consegnarlo all'autorità giudiziaria. Il 18esimo Congresso può così iniziare senza corpi «indegni» all'interno del Partito. Il processo al leader un tempo ambizioso e temuto si farà a giochi politici chiusi ma il clamoroso caso continua ad aleggiare come un fantasma inquieto, con il suo carico di interrogativi che non trovano ancora risposte.


Cui Zhiyuan, che insegna a Pechino alla School of Public Policy and Management dell'università Tsinghua è stato fino all'agosto scorso, e per due anni, consulente della Commissione dei beni statali del governo di Chongqing, dunque nel cuore di quello che la vulgata ha definito un esperimento «rosso». Il professore è spesso incluso nei ranghi della Nuova Sinistra cinese, etichetta che respinge preferendo definirsi piuttosto un socialista liberale che ha come riferimento il pensiero di Stuart Mill. Naturalmente Cui non dà risposte ai dubbi sul caso politico e criminale che ha portato alla rovina di Bo, se mai ne aggiunge altri, ma considera «fuorviante» definirlo un esperimento di sinistra, come molti hanno fatto, e fornisce qualche luce su quanto ora accade nella municipalità a statuto speciale, aspetto non secondario per i risvolti politici della vicenda.


Chiarisce subito che tutto prosegue come prima, quanto alle complesse sperimentazioni messe in atto nell'area che dal 2007, prima ancora che Bo Xilai vi approdasse, è stata designata dal governo centrale come zona economica speciale di sperimentazione per l'integrazione dello sviluppo rurale e urbano. L'esperimento Chongqing, al centro di accese discussioni quando a rappresentarlo era Bo, mette insieme ruolo forte del settore statale nell'economia e vaste agevolazioni per gli investimenti privati; un complesso meccanismo di rivalutazione del valore della terra nel quale i contadini sono coinvolti attraverso un complicato sistema di certificati; una politica su vasta scala di concessione della residenza urbana ai lavoratori migranti che rinuncino ai diritti sulla propria terra; un piano gigantesco per la costruzione di case popolari; progetti ambiziosi di sviluppo industriale per fare di Chongqing il più importante centro di produzione elettronica della Cina, con propaggini logistiche che si allungano verso l'Asia centrale e l'Europa. Un ibrido articolato la cui concezione, sottolinea Cui Zhiyuan, si deve non certo a Bo Xilai ma al sindaco Huang Qifan, che infatti a nessuno è venuto in mente di rimuovere. D'altra parte, dicono i dati, la municipalità corre come un treno, con tassi di crescita oltre il 16%, doppi di quelli nazionali. Pochi peraltro, nota l'accademico, si rendono conto di quante diverse siano oggi in Cina le aree di sperimentazione soprattutto economica ma anche politica.


Se questo è il quadro, cosa ha provocato la distruzione politica di Bo? Il professore si lancia in un immaginifico paragone tra il Pc cinese e la Chiesa cattolica ai tempi della Controriforma. Bersagliata dalle giuste critiche di Lutero alla corruzione del clero, alla sconsiderata gestione dell'autorità religiosa, la Chiesa corse ai ripari. Bo Xilai, in questa schema, è colui che per difendere l'istituzione prende di petto i mali.


Ancora più incomprensibile allora la sua rovina...A questo punto Cui Zhiyuan entra nel territorio oscuro dell'aspetto criminale della vicenda, l'omicidio dell'uomo d'affari Neil Heywood da parte di Gu Kailai, la moglie di Bo. Ricorda l'intervista pubblicata dal New York Times alla prima moglie di Bo, Li Danyu, che si dilungava sugli aspetti paranoici della personalità di Kailai, ossessionata dal timore di essere avvelenata dal figlio di primo letto del marito. Emerge da questi tratti una famiglia travagliata, percorsa da sospetti e odi incrociati probabilmente non estranei, suggerisce Cui, all'epilogo omicida da tragedia shakespeariana. Né portatore di equilibrio poteva essere un personaggio come Wang Lijun, l'ex capo della polizia e braccio destro di Bo che con la sua fuga al consolato Usa di Chengdu ha scoperchiato il vaso e rivelato l'omicidio di Heywood. Neppure Wang, ricorda il professore, ci stava tanto con la testa. Anche lui con le proprie paranoie, aveva depositato ben 157 brevetti in tre anni per proteggere sue bizzarre «invenzioni», dagli speciali stivali per le poliziotte a un marchingegno per ottimizzare la distribuzione a tavola della marmitta mongola. Povero Bo Xilai, viene da pensare, circondato da un insieme umano così destabilizzato mentre veniva assediato dalle critiche scagliate dall'alto. Cui Zhiyuan tuttavia non si sbilancia in giudizi di colpevolezza o innocenza. Anche lui poco o nulla sa.


L'aspetto criminale tuttavia è stato usato o no per una resa dei conti politica? La risposta non prende di petto la questione politica, comprensibilmente, visto che ancora è rovente, ma non si sottrae alla domanda. Ricorda che il premier Wen Jiabao aveva accusato Bo di riportare in vita la Rivoluzione culturale. Piuttosto improbabile, dice Cui, che ricorda come, oltre alle note disgrazie del padre, la madre di Bo fu uccisa da un gruppo di guardie rosse e la famiglia ancora cerca i responsabili. Tuttavia, concede, il premier Wen può avere le proprie ragioni per avanzare una simile accusa. Ma di fatto ben pochi, in Cina come all'estero, hanno capito davvero quello che accadeva a Chongqing. Un gigantesco malinteso di cui, afferma, sarebbe stata vittima anche la sinistra cinese. Gli ricordiamo che l'abbaglio è costato caro a questa componente politica, che all'esplosione del caso si è vista chiudere tutti i siti; alcuni hanno poi riaperto ma qualcuno non si è più ripreso, come il gruppo maoista di Utopia, costretto a chiudere, oltre al sito, anche la libreria che a Pechino rappresentava un punto di incontro e discussione. Cui si rammarica ma, dice, gli utopiani hanno frainteso Bo, riducendo a un'analisi semplicistica quanto accadeva a Chongqing, dove invece è in corso un esperimento che a suo dire è totalmente nuovo, un'innovazione politica non spiegabile attraverso le vecchie categorie marxiste.


Altri, oserviamo, pensano che la ragione dell'epurazione vada invece cercata nella sfida lanciata da Bo alla leadership del Partito. Cui ne conviene. L'ex capo del Pcc di Chongqing non si conformava alle regole vigenti per i dirigenti locali, che devono astenersi dal proporre o mettere in atto misure che attengono alla sfera del potere centrale. In questo senso Bo aveva dichiarato di voler affrontare la questione delle ineguaglianze e dell'aumento del coefficiente di Gini (l'indice che le misura), esaltando questo elemento con il revival delle canzoni e degli slogan rivoluzionari. Ma ciò metteva in discussione la linea di politica economica corrente il cui obiettivo resta la crescita che, secondo l'espressione cinese, fa innalzare l'acqua e con essa tutte le barche, senza modificare le posizioni relative. Affrontare apertamente la questione del divario mette in discussione la politica in atto, e rientra nell'ambito delle competenze dei vertici supremi perché implica un cambiamento forte di priorità. Ma c'è un altro aspetto interessante che l'accademico rimarca quando afferma che Bo, con il suo comportamento, aveva imposto una competizione aperta che egli non esita a definire una forma di open policy vicina, a suo dire, alle regole della democrazia, con la costruzione anche di una propria base popolare, fatto del tutto inedito. C'è bisogno di un nuovo ordine politico, di riforme, asserisce Cui. In Cina, afferma, esistono oggi posizioni diverse al riguardo, ma solo Bo ha espresso apertamente la propria, mentre gli altri leader non si manifestano. Questo non è buono per la democrazia dentro il partito e fuori. Capire cosa aspettarsi dalla prossima leadership è molto difficile anche per questo: nessuno dice davvero quello che pensa. Lo ha fatto il premier Wen, certo, ma alle parole non sono mai seguiti i fatti.


Molti osservatori tuttavia ritengono che la situazione imporrà dei cambiamenti forti nel senso di riforme liberiste, soprattutto dopo il caso Bo. Cui conviene sulla necessità del cambiamento, quanto alla direzione, asserisce, nessuno può prevederla. Non pensa che Xi Jinping sia un neo liberal, non ha elementi per crederlo. Del resto, osserviamo noi, anche il futuro capo dei capi si è ben guardato dall'esporsi in un senso o nell'altro. Ma, chiediamo, esiste oggi in Cina una sinistra nella società o nel Pcc? Capire cosa significa sinistra in Cina era difficile già prima, risponde Cui. Ma questo, rileva, è un problema che riguarda anche il resto del mondo. Le categorie esistenti non descrivono bene neppure quello che sta accadendo, ma tutto dice che abbiamo bisogno di una politica più aperta. E chiude con una nota ottimista: negli ultimi mesi Xi Jinping ha molto insistito sulla democrazia interna al partito, di cui da molto si discute come primo passo verso più vaste riforme politiche. Potrebbe decidere che è il momento di attuarla davvero.


Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano il manifesto l'8 novembre 2012



Comentários


bottom of page