[di Federico Picerni, 2018] «Chimerica», questo conturbante termine proveniente dalla mitologia greca, è stato recuperato dallo storico Niall Fergusson per riferirsi al singolare rapporto che insieme lega e oppone la Cina e gli Stati Uniti d’America. Proprio nei giorni scorsi l’antico mostro è strisciato, come la sua coda di serpente, nelle elezioni di mid-term d’oltreoceano. Secondo alcuni osservatori, i repubblicani scontano le conseguenze dei dazi cinesi in risposta a quelli americani, che hanno sapientemente colpito l’esportazione di prodotti agricoli, fra cui soia e mais, in Stati dove è alto il consenso per Trump. Non a caso quest’ultimo ha moderato, almeno a parole, la sua posizione sulla Cina, vagheggiando un accordo commerciale che potrebbe essere siglato con il suo omologo cinese al G20 novembrino di Buenos Aires.
È quindi di estrema attualità il tema delle relazioni contradditorie fra Cina e Usa, centrale nelle analisi di politica internazionale di Angela Pascucci, della quale ripubblichiamo ora tre articoli che ci sembrano particolarmente significativi per inquadrare la sua visione del problema, nonché per stimolare una riflessione in divenire. Vanno infatti visti in relazione l’uno all’altro e, soprattutto, come retroterra per capire l’attualità a noi più strettamente contemporanea.
Cina e Usa sono due superpotenze dagli interessi evidentemente contrapposti, l’una in ascesa e l’altra in declino, impegnate in una dura e delicatissima lotta per l’egemonia sul Pacifico (e sull’Europa), ora anche clamorosamente invertite nei loro ruoli all’interno della globalizzazione. Tuttavia, accanto a questo aspetto, convive anche una fortissima interdipendenza, nata a seguito del prepotente ingresso cinese nei mercati del capitalismo industriale e finanziario globale: proprio questo vedere Cina e Usa come una «coppia di fatto» di amanti litigiosi, invischiati in una «relazione pericolosa» come i peggiori amori tossici, è uno degli elementi più interessanti dell’analisi di Angela.
Così, nel 2009, in piena crisi economica, mentre la Cina era sul punto di effettuare il “gran sorpasso” e i giorni dell’egemonia statunitense sembravano contati, portando ad una acutizzazione dello scontro economico fra i due, Angela notava comunque l’esistenza di una «“relazione strategica” che ha sostituito la deterrenza degli armamenti nucleari con un equilibrio del terrore finanziario che vede al centro gli oltre 2000 miliardi di dollari accumulati da Pechino attraverso il circolo perverso-virtuoso surplus cinese/indebitamento Usa».
Cosa comporta il passaggio da un deterrente da guerra fredda “classica” giocata sullo stoccaggio degli armamenti nucleari ad uno fondato sullo scontro ma anche sull’interdipendenza economici? Da una parte, scrive Pascucci, «la strategia planetaria cinese ha spuntato una delle armi classiche della politica estera Usa, quella del “contenimento”, mentre la carota dell’“engagement” suona ormai quasi ridicola». Per poi precisare però che la Cina è a sua volta interessata a «mantenere la stabilità garantita dallo status quo mentre agisce incessantemente per modificare gli equilibri globali e risolvere i propri enormi problemi interni». Ecco quindi la «relazione pericolosa» dispiegata, una coppia che non scoppia, lo minaccia ma non può (e forse nemmeno vuole) farlo, gli Usa perché entrerebbero in una fase di fortissima instabilità finanziaria – si pensi alle reazioni di panico alla minaccia cinese di sospendere o diminuire l’acquisto di Bond americani –, la Cina perché rischierebbe di perdere il vantaggio economico che le consente di tenere a freno le sue ribollenti contraddizioni interne.
Ciò spiega anche perché non è questa una partita giocabile a due. Angela notava che il cosiddetto G2 «non è mai andato oltre la tautologia e la crisi economica mondiale ne ha decretato il prematuro decesso». La partita si gioca al G20 e su scala globale. Basti pensare a operazioni come One Belt One Road o alla volontà della Cina di Xi Jinping di accreditarsi come nuova leader della globalizzazione, reiterata anche al recente CIIE di Shanghai, primo expo interamente dedicato all’import – senza troppo successo, pare, almeno per le aziende europee.
E in questa partita, il Pacifico gioca un ruolo centrale. Analizzando il famoso scontro che fra il 2012 e il 2013 ha contrapposto Cina e Giappone, quest’ultimo spalleggiato dagli Usa, sulle isole Senkaku/Diaoyutai, Angela cercava di dare una lettura non circostanziata ma più generale di quanto stava accadendo: «l’economia – scriveva – può costituire, e ciò è evidente nel caso sino-giapponese, un elemento di frizione forte quando le traiettorie si incrociano perché una sale e l’altra scende. E il Giappone sta affrontando il suo declino davanti alla Cina con un mix pericoloso di timore per il futuro e di sfida, che lo spinge a mettere alla prova limiti e capacità del vicino e avversario, convinto che cedere equivarrebbe a mostrare debolezza. Da parte sua, anche Pechino sta testando la propria forza e capacità di egemonizzare la regione». Ma alla giornalista non sfuggiva nemmeno l’altra faccia della medaglia, ossia la funzione tutta interna di questa lotta per l’egemonia, «come se la questione fosse usata dai rispettivi leader (…) per rafforzarsi con il cemento nazionalista, che fa sempre presa. E non è peregrino ipotizzare che Xi Jinping voglia con la nuova assertività bilanciare il new deal di riforme “di mercato”».
In questo contesto, Angela uno sguardo lo dedica anche all’Unione europea, condividendo un’analisi secondo cui essa, «consegnata ai rottami della storia da una crisi che ha rilanciato con forza gli stati nazionali, convertiti, beninteso, agli spiriti animali del capitalismo», non riusciva ad adottare una strategia comune verso l’ascesa cinese, rimanendo di fatto esclusa dalle danze. E questo ci sembra tanto più rilevante oggi.
Non ci dilunghiamo oltre lasciando ai nostri lettori il piacere di trovare nuovi spunti di riflessione. Certo la situazione è molto cambiata e le politiche, così come l’imprevedibilità, di Trump (curiosamente era la Cina a essere considerata imprevedibile) e l’atteggiamento comune a governi e forze politiche europei di guardare alla Cina come modello non solo più economico per le relazioni industriali, ma anche politico, creano prospettive completamente nuove. La coppia sembrerebbe più vicina che mai a scoppiare ma ancora non scoppia, mentre l’«abbraccio sempre più pericoloso» potrebbe avviluppare nuovi soggetti.
8 novembre 2018
Kommentarer