[di Federico Picerni, 2019] Con le aperture del governo italiano al grande progetto cinese “One Belt One Road”, o “nuova via della seta”, abbiamo assistito a un dibattito su vasta scala riguardo le strategie e le intenzioni della politica estera cinese. Entusiasti proclami sulla fine dell’egemonia americana, nuove paure intorno all’“invasione cinese”, commenti più cauti riguardo il metodo e il merito di questa apertura e altre dichiarazioni di ogni genere sul metodo e sul merito di tale progetto e dell’apertura italiana allo stesso hanno riempito le pagine dei quotidiani nei mesi scorsi, portando all’attenzione del grande pubblico, almeno per un breve lasso di tempo, il problema del nuovo posizionamento geopolitico della Cina. Ci pare perciò utile, in questo contesto, riproporre un lungo e fondamentale intervento in due parti, “La lunga corsa della Cina”, pubblicato da Angela Pascucci fra il 2008 e il 2009 per Cartografare il presente, centro di ricerca sulle trasformazioni geopolitiche in atto.
Benché siano passati circa dieci anni da quel contributo, forse oggi più che ieri capire la politica interna ed estera cinese significa capire le mille diramazioni dello “sviluppismo” perseguito dalla dirigenza cinese. Anche in un discorso pronunciato nel 2013, appena insediatosi, ma pubblicato solo poche settimane fa sulla rivista teorica del partito Qiushi (Ricercare la verità), Xi Jinping ha ribadito che “socialismo”, per l’attuale gruppo dirigente, è sostanzialmente sinonimo di “sviluppismo”: in altre parole, uno strumento efficace per promuovere lo sviluppo del Paese, assioma supremo dell’azione del partito-Stato al quale piegare senza troppi problemi anche i princìpi ideologici. Del resto, come diceva Deng Xiaoping stesso, non importa che il gatto sia bianco o nero, purché acchiappi i topi.
Ed è proprio questo “sviluppismo” che Angela Pascucci va a sviscerare ne “La lunga corsa della Cina”, forte di una ricchissima mole di dati che le consente davvero di fornire un’ecografia abbastanza precisa delle “vene energetiche” che pulsano negli arti sempre in movimento del gigante cinese.
Certo, “l’età si fa sentire”, tantissime cose sono cambiate in dieci anni, fra crisi economica, rallentamento della proverbiale crescita a due cifre e il new normal oggi sostenuto dal governo cinese. Indubbiamente, inoltre, molti dati contenuti nei testi necessitano di essere aggiornati – e c’è da auspicare che lo siano, magari, chissà, prendendo spunto da questa pubblicazione. Ci preme però sottolineare i punti di attualità del lavoro di Angela Pascucci, che vanno oltre i freddi (ma necessari) numeri e ci dicono qualcosa di più del modello di sviluppo cinese (e non).
In primo luogo emerge con assoluta chiarezza lo stretto rapporto di interdipendenza fra la crescita e il consumo di energia, da una parte, e, dall’altra, le urgentissime esigenze di procacciamento delle risorse, con il loro impatto determinante sugli indirizzi della politica cinese. Tale interdipendenza, dove la crescita poggia sul reperimento delle risorse energetiche e queste stesse risorse, a loro volta, abbisognano della crescita per essere convertite in profitto, mette a nudo i forti limiti strutturali e, soprattutto, gli alti costi sanitari dello “sviluppismo”. Questo mentre gli sforzi tesi a migliorare la situazione dal punto di vista ambientale, oramai insostenibile, aprono nuove contraddizioni con il lavoro, si pensi alla chiusura delle grandi aziende statali impegnate nell’estrazione di combustibili fossili.
In secondo luogo la perizia dei dati esposti mette in luce il legame fra le scelte cinesi in politica estera e, ancora, il reperimento delle risorse per favorire lo sviluppo interno. Ciò avviene mediante uno sfruttamento sapiente delle contraddizioni internazionali e interimperialistiche, secondo una spregiudicata Realpolitik diametralmente opposta all’egemonismo americano degli anni ’90-primi anni 2000. Proprio la disamina dei nudi dati può darci la possibilità di andare oltre certe posizioni “per partito preso”, mostrandoci forti competizioni (altrimenti generalmente invisibili) per l’egemonia commerciale sull’Asia centrale fra la Cina e la Russia, la corsa tutt’altro che semplice a prendere il controllo del “cortile di casa” in Asia orientale, finanche la penetrazione cinese in America latina. Tutti aspetti che ci danno qualche chiave di lettura in più per le dinamiche geopolitiche più strettamente contemporanee, dalla “nuova via della seta” (di cui allora non si parlava ancora ufficialmente, benché Angela ne accenni) alla crisi venezuelana, che secondo diversi osservatori è determinata anche dalla rivalità fra Usa e Cina per quanto riguarda le forniture di petrolio.
E qui torniamo dunque all’Europa, che Angela tocca marginalmente in questo lavoro, ma che altrove aveva definito «consegnata ai rottami della storia da una crisi che ha rilanciato con forza gli Stati nazionali, convertiti, beninteso, agli spiriti animali del capitalismo» e quindi incapace di adottare una strategia comune. Impossibile non vedere l’ombra di queste parole su quanto accaduto nei mesi – e negli anni – scorsi. Se è vero che a marzo la Commissione europea ha definito la Cina un «systemic rival» e «strategic competitor», con gli investimenti cinesi diretti negli Stati membri calati al di sotto dei 20 miliardi di euro nel 2018 dopo avevano superato i 35 miliardi nel 2016 (fonti Rhodium Institute), è altresì vero che la Cina continua ad avere fondi importanti in infrastrutture come aeroporti, ferrovie e porti marittimi in Paesi come Grecia, Serbia e, forse, presto anche in Italia.
Tanto la politica estera quanto quella interna appare dunque fortemente determinata dalle esigenze del fabbisogno energetico: un punto di forza, ma anche una gabbia, le cui ricadute riguardano non soltanto i cittadini cinesi e che hanno molto da dire sul modello economico perseguito non soltanto da Pechino. Tanto più nell’epoca della globalizzazione, nessuno è immune da ciò che accade in Cina, oggi, come amava ripetere Angela, «molto più vicina. E l’Occidente, con il suo modello di sviluppo, riflesso in un enorme specchio, che ingrandisce e rivela anche quello che molti, troppi, ancora non vogliono vedere». Perciò secondo noi il contributo di Angela ne “La lunga corsa” va visto non soltanto nella pura raccolta ed esposizione dei dati, nudi e freddi benché di fondamentale importanza, ma anche e soprattutto nella critica del presente, andando oltre la fallace contrapposizione fra “Occidente” e Cina, forse mai più sfumata di oggi, a dispetto della guerra commerciale che farebbe credere il contrario.
Ci sembra che riproporre questo valido esempio di come studiare la Cina come metodo, più che come fine, sia un bel modo di ricordare Angela Pascucci a un anno dalla sua scomparsa. Infine, rimandiamo alla lettera scritta dal suo compagno di vita, Enzo Naso, che completa l’omaggio del nostro team a questo importante anniversario anche sul piano più personale ed emotivo.
aprile 2019
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