[di Gaia Perini, 2018] E’ una mite giornata novembrina del 2006 e il sole illumina l’allora fittamente alberato viale di Xinjiekou a Pechino (vedasi foto qui a fianco, di Francesco Parodi); sono ferma sul ciglio della strada e aspetto l’arrivo di un taxi che condurrà Angela Pascucci proprio lì, sotto casa mia. Io e Francesco la ospiteremo da noi; io però non l’ho mai vista di persona, né lei ha mai visto me, quindi per facilitare il riconoscimento reciproco in quel gorgo di macchine, autobus, sanlunche e biciclette, brandisco una copia de il manifesto come fosse un’insegna araldica o lo sciarpino della squadra del cuore. Da quel taxi scenderà una fascinosa ed elegante signora, accompagnata solo da una valigia gigantesca e con un’aria talmente familiare da solleticare all’istante la chiacchiera confidenziale cuore-in-mano, cosa che difatti capiterà da lì a un minuto: iniziamo a parlare a briglia sciolta, mescolando la Cina, l’argomento che è il nostro collante primario, a tutto il resto, e non smetteremo più. Per oltre dieci anni.
Nel 2006 Angela mi aveva ingaggiata dapprima per tradurre in italiano una sua intervista a Wang Hui e poi, percepita una certa sintonia con me, per aiutarla a organizzare una missione giornalistica fra Pechino, Shanghai e lo Yunnan. Divenni la sua fixer a Pechino. Quell’anno, tramite me e Wang Hui lei riuscì a incontrare una dozzina di personaggi che in seguito popolarono il suo primo libro, “Talkin’ China”, mentre Carlo Addis la sostenne nella sua inchiesta a Shanghai. La attirava in Cina la vicenda di Chen Liangyu, il segretario del PCC di Shanghai radiato dal partito e rimosso dalla carica in seguito allo scandalo dei fondi pensione rubati ai dipendenti pubblici locali, scandalo che lo aveva travolto proprio all’inizio di quell’autunno.
Perché Angela era così interessata a questo caso? Ogni mese, per non dire ogni settimana, in Cina avviene almeno un evento che modifica gli equilibri o che conferma l’evoluzione in corso. Lei, da brava Arianna capace di trovare un filo in quel dedalo borgesiano che porta il nome di Cina contemporanea, soleva selezionare le notizie che le parevano significative e metodicamente le ordinava in base alla data, creando tabelle e schemi diacronici che poi fungevano da canovaccio per i suoi articoli. Così i fatti nudi, apparentemente sganciati gli uni dagli altri, si trasformavano in sequenze temporali, e quindi in narrazioni coerenti. Se si cerca in coda al suo “Talkin’ China”, si troverà un esempio di cronologia che lei usava per lavorare, la quale parte dalla morte di Zhou Enlai, l’8 gennaio del 1976, e termina con “Shiqida”, il 17esimo Congresso del PCC tenutosi nell’ottobre del 2007: trenta pagine di pura annalistica à la “Primavere e Autunni”, ma in salsa moderna, utilissime per decifrare tre decadi di storia. Chen Liangyu non è che una delle tante voci che riguardano il 2006, fra la prima visita di Hu Jintao negli Stati Uniti, la Banca Centrale cinese che fissa il cambio del RMB a 7,99 rispetto al dollaro, una protesta contadina contro l’ennesimo esproprio di terre “collettive” e una sintomatica espulsione dal Partito di circa 45mila iscritti. Chen Liangyu è solo un tassello di un mosaico più grande.
Angela arriva in Cina ed ogni singolo intervistato a cui chiediamo un parere sul caso ci risponde citando i “liyi jituan”, i gruppi di interesse interni al Partito. Si noti che in quegli anni la narrazione dominante dei media non cinesi, in particolare anglosassoni, si costruiva intorno alla rigida dicotomia “partito unico versus pluralismo democratico occidentale”, laddove il PCC non poteva che essere l’ultima incarnazione del dispotismo asiatico di hegeliana memoria e quindi la possibilità che non fosse un’entità immobile e monolitica non era neppure contemplata. Viceversa, la parola chiave di Angela era “dinamica”. Voleva cogliere la dinamica, per quanto trapelasse all’esterno, ossia gli scontri fra la fazione della finanza e del capitale privato e quella delle vecchie imprese di stato, od anche fra il governo centrale e le lobbies locali, una lotta intestina particolarmente persistente nella storia cinese e quasi sempre sottovalutata dalla stampa mainstream. Le interessava il gioco fra il potere, o meglio i poteri, e la società (emblematico il titolo del suo secondo libro, “Potere e società in Cina”), senza però ridurlo alla facile contrapposizione fra stato e “popolo”. Né il primo né il secondo rappresentano un blocco omogeneo, al contrario si ibridano e si compenetrano di continuo, come ci spiegò nel corso di una lunga e generosa intervista sulla nuova classe media la intellettuale femminista e marxista Dai Jinhua.
Chen Liangyu fu l’antipasto che preannunciò il piatto forte servito sei anni dopo, Bo Xilai, sindaco di Dalian prima e soprattutto mente a capo del “Modello Chongqing”, città ove fu Segretario di partito. Con un tasso di crescita del 16% contro l’8% annuo imposto dal piano quinquennale, Chongqing con il pretesto del “progetto pilota” si stava rendendo autonoma dall’autorità centrale, almeno in parte; perciò con Bo, quando questi cominciò ad acquistare consenso, non solo a livello locale, giocando da battitore libero, il regolamento di conti si fece ancor più duro. La vicenda di Bo Xilai, benché cronologicamente chiuda l’era della “società armoniosa” di Hu e Wen, a conti fatti già ci dice parecchio sulla successiva dirigenza di Xi Jinping. L’“armonia”, che tollerava ed anzi per certi versi addirittura promuoveva il dibattito interno, ammettendo l’esistenza di un "Nanfang Zhoumo" relativamente indipendente e quindi dell’ala liberal, da un lato, e del circolo neomaoista Utopia dall’altro, lasciò il posto al più compatto e uniforme “Sogno cinese”.
Io e Angela facemmo in tempo a visitare Chongqing prima del siluramento di Bo Xilai, incuriosite dai racconti del professor Cui Zhiyuan, che ai tempi lavorava alla messa a punto del “modello” in quanto membro del team del sindaco Huang Qifan. Non vedemmo né il socialismo né una riedizione del maoismo, checché se ne dicesse in patria o all’estero. Piuttosto, insieme ad un altro amico e collaboratore di Angela, Diego Gullotta, visitammo la Foxconn locale, ritrovandoci in un girone infernale non tanto diverso da quello di Shenzhen – non c’è spazio qui per approfondire il tema, ma il lavoro e le condizioni di vita della classe lavoratrice cinese costituivano un altro fondamentale filone di ricerca per Angela. Parlammo anche con dei contadini a cui era stato offerto lo hukou cittadino in cambio della cessione dei propri terreni e non ci parvero particolarmente entusiasti, anzi. Né incontrammo alcun virtuoso dei canti rivoluzionari.
Riferisco questi ricordi senza intenti polemici, sia chiaro; Angela, come chiunque si accinga a scrivere di Cina senza accontentarsi delle formule di rito, non entrava in polemica con nessuno, ritenendosi anzi a malapena capace di decifrare il magma che il continente le rovesciava addosso ogni giorno. Angela soffriva, me ne parlava, ne discutevamo insieme (e condivido tuttora quella sua sofferenza), perché non appena ci si svuota le tasche dalla pretesa della verità, la Cina non esita a mostrare il suo volto più crudele: il caos, l’impossibilità di trovare definizioni stabili e univoche. La bussola per lei era la sua capacità di leggere i trend economici, oltre al succitato meticoloso lavoro di raccolta quotidiana delle notizie. La sua passione per l’economia internazionale l’ha sempre protetta dalla tentazione culturalista e orientalista di fare della Cina un Altro inintelligibile: la Cina appartiene al nostro mondo e a questo proposito va aggiunto che se con le sue analisi Angela si teneva a debita distanza dalla stampa apertamente anticomunista, parimenti ha sempre respinto le posizioni filocinesi e filogovernative, per le quali la Cina è IL modello alternativo, a priori. Per lei invece si trattava senz’ombra di dubbio di un paese capitalista, segnato da profondissime disuguaglianze e da uno sfruttamento della forza lavoro e delle risorse naturali che lascia ben poca credibilità alle cosiddette “caratteristiche cinesi”. In questa posizione terza, lontana tanto da quella dei semplici delatori quanto dai sostenitori acritici, si rivelava tra l’altro la sua adesione ai metodi ed alle strategie di analisi che il collettivo del manifesto, un collettivo di intellettuali più che di giornalisti in senso stretto, sviluppò sin dalla loro prima dichiarazione programmatica, “Praga è sola”, in cui si dava voce ad un pensiero comunista sì, ma a distanza dal socialismo reale e dai partiti comunisti storicamente dati. Il punto di vista critico di Pintor, Rossanda e Parlato era ed è evidente nel lavoro di Angela: è un lascito prezioso anche per chi non si occupa specificamente di Cina.
Riproponiamo qui, attraverso questo sito, i testi che lei scriveva per il manifesto, appunto perché riteniamo che abbiano una diversa longevità rispetto ai classici articoli di giornale; tutti i pezzi che selezioneremo hanno un valore storico e documentaristico, e alcuni sono ad oggi perfettamente attuali, nonostante gli anni trascorsi dalla loro stesura.
Questo perché il filo di Angela Pascucci può ancora tornarci utile per non smarrire la strada nel labirinto cinese, anche se il paese è cambiato e continua a cambiare, giorno dopo giorno. Chen Liangyu venne rimosso dal suo incarico di Segretario del partito a Shanghai e un tale, che di cognome fa Xi e di nome Jinping, prese il suo posto; Utopia e il Nanfang Zhoumo, o più in generale la “new left” e l’ala liberal, non ottengono più così facilmente udienza a palazzo, né tantomeno dettano le policies; Pechino è un’altra città: Xinjiekou, ad esempio, non è più quel ridente viale alberato ove accolsi Angela. Il “modello Chongqing” non ha attecchito, sebbene in un certo senso l’attuale Via della Seta abbia rilanciato l’Ovest del paese in maniera analoga e analogamente lo gestisce mescolando con cinica sapienza autoritarismo e sviluppo.
Come una delle tante megalopoli cinesi, anche questo sito è un cantiere, un work in progress, sempre in fieri. Un piccolo cantiere di storia contemporanea. Vi pubblicheremo a cadenza quindicinale due o tre interventi di Angela, scelti in base al tema o al periodo in cui furono composti.
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Inoltre, tradurremo in inglese i testi che ci paiono più interessanti dal punto di vista storico, giornalistico e sinologico, in modo da renderli accessibili anche ai lettori non italiani.
Negli ultimi anni della sua vita Angela si era attivata per realizzare un blog, o un sito, che archiviasse tutto il suo lavoro, passato e futuro. La malattia non le ha permesso di andare oltre le prime fasi preliminari; ci proviamo noi, ora, convinti dell’assoluto valore della sua visione.
Gaia Perini
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